mercoledì 28 dicembre 2011

Giorgio Bocca: penna velenosa

Il Macondo di Milano, 1978
Anch'io voglio dare il mio addio al quel grande giornalista e partigiano che è stato Giorgio Bocca. Non voglio scrivere epitaffi o santificazioni post mortem, ma riportare un suo vecchio articolo del 1978, che a mio avviso lo rappresenta abbastanza bene.

Va fatta una premessa storico-politica, dato che dal '78 ad oggi molto è cambiato, ma non troppo. La notte del 22 febbraio la polizia chiude il locale alternativo milanese "Macondo", proprietà di Mauro Rostagno (poi ucciso dalla mafia siciliana). Siamo ai tempi del "Movimento del '77", ormai moribondo. Ma i giovani di allora ancora cercavano di radunarsi e costruire un'alternativa a quella che di lì a poco diventerà la "Milano da bere", con tutte le conseguenze del caso e sarà l'alba della futura Tangentopoli.
Giorgio Bocca non era stato morbido nei confronti del Movimento, era stato un nemico, un pennivendolo del potere (come si diceva allora) ed è per questo motivo che questo articolo ci sbalordì. Fu pubblicato su "L'Espresso" nella sua rubrica "Il cittadino e il potere", e qui di seguito riportiamo l'articolo integrale, intitolato: "Macondo delenda est", con un paio di note per capire i fatti:

"La polizia di Milano ha chiuso il Macondo, un ritrovo milanese di giovani, per spaccio e uso di stupefacenti.
Ha infatti trovato anche dell'hashish. Ma la faccenda non puzza soltanto di hashish, puzza di crudeltà e ottusità clericale da anni Cinquanta. Il metodo della denuncia è sempre quello dei comitati civici, dei cittadini timorati e sdegnati che spontaneamente scrivono o telefonano ai poliziotti e ai giornalisti per chiedere "la fine dello sconcio". Anch'io ho ricevuto telefonate di madri addolorate e indignate che mi chiedevano di aiutarle a far chiudere il Macondo, vaso di ogni perdizione. Stupite e poi deluse, irritate se le consigliavo di rivolgersi prima e più urgentemente a uno psicologo o a un sincero atto familiare di coscienza. Dicevo ottusità. Il cronista dell'"Unità" milanese, Cavallini, uno che ha perso la grande occasione di vivere negli anni della guerra fredda, descrive il Macondo e i suoi seicento clienti come un luogo "squallido", dove la politica viene mercificata e la foto del relitto Capanna [Mario Capanna leader del '68 milanese n.d.r.] viene venduta come souvenir. Il compagno Cavallini non deve essersi accorto, in questi anni di quelle manifestazioni mercuriali che sono i festival dell'"Unità, in cui è stato mercificato tutto, persino il Ginseng coreano, sciroppo socialista di lunga vita, persino il Togliatti ridotto a portachiavi di automobile.

I frequentatori del Macondo, questa gioventù che non sa apprezzare le elettrizzanti serate della Fgci [Federazione Giovani Comunisti Italiani, i giovani del PCI, diretta, al tempo, dal giovane Massimo D'Alema n.d.r.] è ovviamente "squallida" e i drogati, ancor più ovviamente "squallidi e disperati". E' curioso come qualsiasi fatto sociale, appena passa dai ricchi ai poveri diventa squallido. Negli anni Trenta prendere la cocaina in Italia era il massimo dello snobismo, un piacere da D'Annunzio e Pitigrilli: e tutta l'Italia snob e fascista si raccontava estasiata la storiella del cocainomane bolognese amico di Ciano che aveva drogato persino il ministro degli Esteri giapponese in visita, Matsuoka.
Ma veniamo al dunque: quelli della mia generazione e della mia formazione politica e culturale sono stati spesso accusati, di moralismo e puritanesimo. Effettivamente ci siamo portati dietro l'abitudine, quanto buona o ipocrita non so, di concepire la politica, le riforme, la rivoluzione come delle alternative migliori e virtuose, non come un via libera al peggio. Anche oggi una riforma puritana dello Stato ci andrebbe bene. Puritana, non bacchettona o ipocrita è chiaro. Ma siccome di questa riforma non si vede neppure un accenno, siccome i grandi ladri e i grandi spacciatori di droghe pesanti e i grandi riciclatori di riscatti da rapimento o i furti di Stato e i grandi evasori sono sempre tranquilli e impuniti, questa durezza e ferocia verso i poveri cristi ci lascia dubbiosi.
I giornali riportano senza un commento il fatto che al Macondo la sera della sorpresa c'erano seicento persone. Ma dove mai e quando, a Milano, un locale pubblico è riuscito a mettere insieme quasi ogni sera una simile folla?
Dunque il problema c'è, enorme, ci sono decine di migliaia di giovani che non sanno dove sbattere la testa, dove trovare compagnia e socializzare. Il Macondo non era un luogo di letizia? Può darsi. Qualcuno ci fumava? E' certo. Ma vogliamo far finta di non sapere che le droghe leggere sono quasi la norma e che quelle pesanti continuano a diffondersi, anche perché servono egregiamente per deviare verso il sogno la contestazione giovanile? [una cosa che avvenne puntualmente negli anni '80, gli anni del "riflusso", quelli dell'ostentazione, quelli del "look", dominati però dal conformismo con la ovvia distruzione di ogni tipo di contestazione n.d.r.]  

Stiamo avvicinandoci a una scelta molto netta e molto grave: se combattere fino in fondo la battaglia democratica, cambiando subito quel che si può cambiare e recuperando subito quanto si può della gioventù emarginata o disperata; oppure se ricorrere alla repressione dura, quella vera. Per un politologo freddo e distaccato, entrambe le scelte sono in teoria praticabili. Noi che politologi non siamo, consideriamo la seconda con paura e con angoscia per due motivi: sarebbe la repressione solo degli stracci e un'altra tragicommedia all'italiana."
(G. BOCCA, "Macondo delenda est", 1978).

Ciao Giorgio, penna velenosa!

2 commenti:

  1. Non conoscevo questa presa di posizione a favore di Macondo da parte di Bocca, che cmq rimane uno dei più grandi giornalisti del 900

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  2. A chi fosse interessato a controcultura, anni '70 ecc. segnalo

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